AYRTON SENNA. ON LIMIT...OF DREAM

Le cose ti riportano alla realtà di quanto tu sia fragile; ad un certo punto tu stai facendo qualcosa che nessun altro è capace di fare. In quello stesso momento sei visto come il migliore, il più veloce, ma sei enormemente fragile. Perché in un piccolo secondo, è tutto finito.

IL CORPO E IL MONDO. Leib e Körper

Il mio corpo in realtà è sempre altrove; è legato a tutti gli altrove del mondo. E a dire il vero, è altrove solo nel mondo. Perché è intorno a esse che le cose si dispongono...Il corpo è il punto zero del mondo, dove i percorsi e gli spazi si incrociano.

PHILOSOPHY OF FOOTBALL. Genealogy

Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. Pierpaolo Pasolini.

SPORT PSYCHOLOGY. Mind and Movement

C'è uno stato del movimento umano che accade solo in rare occasioni, di eccellenza e di bellezza...si chiama Grazia; di solito non conosce lo spazio umano, ma i cieli che non possiamo imitare e i luoghi della terra che non possiamo abitare...

PHILOSOPHY OF RUNNING. La Musica del Respiro

Io sento la terra ed il vento e gli alberi. Io sento il loro spirito. Io sento il ritmo della corsa. È come musica. Gabriel Harmony Jennings.

giovedì 18 ottobre 2012

ELOGIO DELLA SCONFITTA

..."Successo" è semplicemente il participio passato del verbo "succedere"...

Alla Juventus F.C. dicono che "vincere non è importante, è l'unica cosa che conta". Una frase che fa scuola, cultura, almeno in Italia, ma non solo, sia calcio o meno. La cultura del successo. Ciò che conta è il risultato finale, la vittoria, e così sia. Senza presunti moralismi, sovrastrutture, illusioni: le scuse, le analisi dettagliate, gli "specchietti estetici" vengono dopo, sono vanto dei perdenti, in fondo, se la meta è vincere, arrivi o non arrivi, vinci o non vinci, sei felice o non lo sei...chi vince è bravo e contento, gli altri no, mentre questi parlano lui gioisce e se la ride, punto. Ed è veramente così per ogni sportivo che si rispetti: si gareggia e si compete per superare gli avversari, o se stessi, dimostrare di essere i migliori, mica per partecipare, con buona pace di De Coubertin. E dei cultori della morale: chi è forte è invidiato, questa la genealogia della morale, e della cultura dell'alibi (gli arbitri, il terreno, il clima, la forma, gli infortuni, lo stile...). E se l'invidia uccide chi la prova, la vittoria aiuta a vincere. Chi guarda gli altri dall'alto, come la strategia nelle tattiche militari, gode di una posizione di vantaggio: si chiama brama, condita nel vincitore dall'autostima, dalla fiducia in se stesso, dalla spinta degli elogi, ma fondamentalmente desiderio, perché l'uomo è un'essere infinitamente desiderante e, si sa, il suo appetito vien mangiando, una fiamma che alimenta se stessa, il desiderio ritorna imponente appena dopo soddisfatto, diciamolo pure come vogliamo, il fatto è che la vittoria accresce la fame, un vincente non è mai sazio di vincere! Eppure lo Sport non è proprio affine al campo militare, e se lì il nemico viene annientato, perché vi sia competizione, invece, c'è bisogno dell'avversario, e di (almeno sulla carta) condizioni paritarie di partenza al netto delle abilità da mostrare poi sul campo, di regole condivise. Ci sarà sempre un vincitore e uno sconfitto. Ma ci sarà sempre, finché c'è competizione, anche il desiderio di vittoria dello sconfitto, la possibilità data al perdente di poter maturare un'autentica cultura della sconfitta, che sia un proprio spazio autonomo di incubazione e crescita, e non semplicemente il lato oscuro della medaglia, la faccia negativa e contraria del successo, che volti le spalle finalmente a invidia e alibi, a chiacchiere vuote. Anche la sconfitta può aiutare a vincere, non solo: anche a godersi la strada che porta alla vittoria, a godersi lo sport, ad accettare l'essere finito che siamo, a superarne i limiti.
Perché, fondamentalmente, "successo" è semplicemente il participio passato del verbo "succedere": il Successo è solo uno stato, semplicemente "successo", già alle spalle, passato, apre subito la strada a un eventuale "successore", qualcun altro che potrà avere "successo"; soprattutto quando ottunde la mente, la annebbia. È un rischio questo insito in lui medesimo: perché la gioia e l'euforia che ne derivano sono stati assoluti (ab-solutus, privo di lacci), sciolti dalle trame reali (la Nike è alata, non mantiene "i piedi per terra"), e quindi spesso di loro dimentiche: sono stati espansivi, colmano e pervadono l'essere che si acquieta in loro, ne è appagato; il dolore e la delusione della sconfitta, al contrario, attorcigliano, piegano su se stessi, sono riflessivi, portano a domandare, a domandarsi; a tastare la strada che porta alla vittoria, a tentarne i sentieri. Lo sportivo non è solo chi vince, ma chi lavora umilmente e duramente per vincere: perché la vittoria non è solo un risultato, un arrivo, un "successo", non è solo una meta, ma fondamentalmente una strada, un percorso. Ecco perché con lo sguardo alla via, e non alla meta, si apre un elogio della sconfitta: essa è  molto più formativa del successo, incrina le nostre convinzioni, mette in crisi (krisis, dal greco krino, separare, giudicare, valutare), apre lo spazio della valutazione e del giudizio, e della crescita e maturazione, come l'adolescenza, periodo di crisi per eccellenza, apre la via alla maturità; periodo di rim-pianto, e la sconfitta anch'essa altro non è che un rimpianto, perché mette in luce ciò che si poteva fare meglio, ma riprende anche il pianto per costruire qualcosa di migliore! Ecco perché, allora, spesso "il successo è deformante, rilassa, inganna, ci rende peggiori, ci aiuta ad innamorarci eccessivamente di noi stessi; al contrario, l'in-successo è formativo, ci rende stabili, ci avvicina alle nostre convinzioni, ci fa ritornare ad essere coerenti. Sia chiaro che competiamo per vincere, ed io faccio questo lavoro perché voglio vincere quando competo. Ma se non distinguessi quello che è realmente formativo e quello che è secondario, commetterei un errore enorme" (Marcelo Bielsa). La vittoria per lo sportivo, è affascinante, ammagliante, è l'unica cosa che conta...è la meta...ma la sconfitta è la bellezza del paesaggio attorno, la forza che rimette in cammino, la maturazione del raccolto, è la strada che porta al traguardo!
Tommy 

lunedì 14 maggio 2012

GILLES VILLENEUVE. L'uomo oltre la macchina

Se è vero che la vita di un essere umano è come un film, io ho avuto il privilegio di essere la comparsa, lo sceneggiatore, l'attore protagonista e il regista del mio modo di vivere.
Gilles Villeneuve

Dicono che Gilles Villeneuve amasse correre con il numero 69, quando da giovane garreggiava insieme al fratello Jaques sulle nevi canadesi, con quelle motoslitte che loro stessi montavano e perfezionavano, portandole poi al limite sui circuiti di gara: così, pensava Gilles, quando, come spesso accadeva, la sua macchina si rovesciava, il numero era sempre riconoscibile, un 69 rovesciato in fondo è ancora tale! Dicono che fosse però piuttosto bravo il ragazzo: in pista, con poca stabilità, scarsa visibilità e in condizioni precarie, il giovane vinceva, con quell'intuito e incoscienza inconsapevoli, proprie dei predestinati, genio e sregolatezza. E di vittoria in vittoria la neve e il freddo del Canada, la motoslitta, cominciavano a non essere abbastanza per lui, che sognava il brivido della velocità e il rischio delle corse d'auto; così, vendette la casa dove abitava con la moglie Johanna e iniziò a partecipare ai campionati minori di corse nordamericane, ottenendo, pur con pochi soldi e sponsor, immediato successo. E nel circo di soldi e sponsor che è la Formula 1, Gilles vi arrivò e si fece largo sempre e solo attraverso la sua bravura. Prima in McLaren, la chiamata per un solo Gran Premio, e il titolo driver of the day conquistato; una sola gara, perché il team non ritenne opportuno continuare a puntare sul giovane canadese, forse avevano notato qualcosa di particolare...Dicono che smontando le automobili dopo una corsa, persino un inesperto in materia potesse distinguere la macchina di Villeneuve da quella di un suo qualsiasi compagno di squadra, per lo stato del cambio in particolare, o dei freni; perché quel piccolo canadese, dallo stile aggressivo e spregiudicato, le macchine le sfruttava, le usava, le usurava per portarle fino all'estremo limite, che era poi il suo proprio limite, quello che voleva costantemente superare, per superarsi: "come possiamo conoscere il nostro limite se non tentiamo di superarlo?" era solito ripetere Gilles: sempre oltre il limite, nel rischio, nel pericolo, nell'eccesso; se ne accorsero presto anche in Ferrari, la nuova squadra che quel talento se lo prese in casa: piroette, fuori pista, scontri, errori, rotture meccaniche; dopo poche gare iniziarono a chiamarlo "l'aviatore", appellativo guadagnato per gli incidenti spettacolari che provocava, in particolare uno, quando la sua macchina, dopo il decollo successivo a un contatto, decollò sulla folla vicino alla zona vietata, uccidendo due spettatori. Vittorie ne arrivarono ben poche...E dicono che Enzo Ferrari sia stato più volte sul punto di perdere la pazienza e di cacciarlo; le sue macchine costavano troppi soldi per vederle sempre fracassate senza successo, e il circo, si sa, è fatto di affari, gli affari vogliono risultati. Gilles,  per tutta risposta decise di indossare il numero 27, dando un nuovo corso alla sua avventura in Formula 1: di ottenere qualche risultato, ma non di quelli che rientrano nelle statistiche, che ti fanno magari vincere qualche Gran Premio in più, o un titolo del mondo, quelli sono solo storia. Quel 27, invece, divenne mito, leggenda. Come un principe, pur senza corona, rimane un principe. Come un gusto eccezionale: non importa quanto ne assaporiamo, ma che sapore ha per noi. E nulla può aver più bel sapore di un secondo posto, se ottenuto dopo il duello più spettacolare della storia delle corse automobilistiche, staccate al limite, ruota a ruota con Renè Arnoux, Digione, Francia, 1979. Nulla ha più bel sapore agli occhi dello spettatore di giri su tre ruote, alettoni staccati e semivolanti, curve di traverso...sorpassi inimmaginabili...poche vittorie ma in gran stile...tutto quasi per lasciare ogni tanto un'impronta indelebile...il pilota più spettacolare di tutti i tempi, umile e semplice fuori quanto aggressivo e determinato in pista, una leggenda per sempre nel cuore dei tifosi, un mito che saprà ripetere forse solo Ayrton Senna. Come Senna, una fine tragica. Dicono che Gilles avesse deciso di abbandonare la Ferrari e di fondare una scuderia per proprio conto; forse mentre si accingeva a rientrare ai box quel 8 maggio 1982 a Zolder, Belgio, aveva in testa quei pensieri, quella rabbia: gli avevano fatto capire, lo aveva realizzato a Imola una settimana prima quando Pironi, suo compagno, gli corse contro per batterlo violando i presunti ordini di scuderia, ma senza che la Ferrari prendesse poi posizione, che un pilota, si chiamasse anche Villeneuve, era funzione della macchina, della squadra, del circo, non viceversa. Forse pensava a questo Gilles, mentre rientrava ai box quel sabato pomeriggio, a quel podio imbronciato di Imola, ad anni a servizio per chi, pensava, gli aveva voltato le spalle, ad un automobilismo come pura passione, alle corse in motoslitta sulle nevi del Canada, all'uomo oltre la macchina. Decise allora di scendere da quella Ferrari numero 27, di rovesciarsi ancora una volta: e allora si, come un 69 ancora riconoscibile, l'immagine di questo piccolo grande pilota, abbandonò la storia, ed entrò nel mito. Gilles Villeneuve non solo è ancora riconoscibile come una leggenda dello sport davvero unica, ma è una storia da ricordare, non semplicemente da raccontare: dove la vita ci rende funzione di altro, della macchina, del business, di chissà che altro, possiamo ancora esserne attori, e farne uno spettacolo: è solo una questione di giocare coi propri limiti, di rischiare, di sapersi rovesciare...


Tommy

lunedì 7 maggio 2012

PHILOSOPHY AND SPORT. La Meraviglia del Corpo

È proprio del filosofo questo [...] di essere pieno di meraviglia; né altro cominciamento ha il filosofare che questo.
Platone

La Filosofia e lo Sport. Due grandi passioni, da sempre. Due mondi apparentemente distanti, opposti, contrari...l'una, la filosofia, attività contemplativa, teoretica, di pensiero...l'altro, lo sport, attività pratica, di campo, di sudore e di fatica...due mondi opposti, ma forse solo apparentemente...All'alba del pensiero filosofico si riteneva che essa, la Filosofia, nascesse dalla Meraviglia, da ciò che si manifesta e problematicizza l'esistenza, e il filosofo fosse di conseguenza colui capace di meravigliar-si di fronte a tale accadere...essere pieno di meraviglia, come diceva Platone; la meraviglia è lo stupore che di fronte all'accadere, al manifestarsi delle cose, sospende il respiro e lascia a bocca aperta, che entusiasma come un mistero chiuso in se stesso, come un bocciolo nell'atto del suo fiorire. Si può essere meravigliati, diceva Aristotele, di fronte a difficoltà semplici, comuni, quotidiane, come fu in principio del filosofare, ma anche di fronte poi a problemi maggiori come i fenomeni della luna, del sole e degli astri, o dell'origine del cosmo. È forse la capacità del manifestarsi del mondo di incarnarsi nel senso della nostra propria esistenza, di far corpo con la nostra vita, che ci fa meravigliare per l'una o per l'altra cosa; la filosofia nasce da ciò che scalda il nostro sangue, che suscita il nostro dolore o il nostro piacere, che smuove il nostro sentimento, che scuote il nostro vivere...è la meraviglia del nostro Corpo aperto al mondo! Quando la filosofia iniziò a suscitare meraviglia nel mondo greco, lo Sport era già nato da tempo: tracce di manifestazioni ultramillenarie si radicano pressoché in tutte le culture, nella stessa cultura greca ne troviamo testimonianza già nei poemi omerici, l'agone omerico; eppure potremmo propriamente parlare solo di giochi agonistici, di competizioni svolte, qui come in altri contesti, in riferimento a rituali guerrieri o a celebrazioni funebri, secondo un'antropologia dell'agonismo, non ancora di sport; forse, come per la filosofia, lo sport è un fenomeno tipicamente greco, nato nell'antica Grecia con l'istituzione dei Giochi Olimpici, fenomeno fondamentale, tratto portante di quella cultura, tanto da scandire, con la sua cadenza quadriennale, il conto del suo tempo. E cosa meravigliava di più il popolo greco, richiamandolo da tutte le parti, sbigottendo persino gli stranieri ospiti, che non quelle manifestazioni, decantate e celebrate da sempre?? I Greci hanno fatto dello sport una meraviglia, consegnando ai posteri tale grandiosa eredità, la meraviglia della bellezza dei corpi in azione capaci nel confronto, nello scontro, di gesti straordinari, che scuote la vita come una sua metafora, che agisce nel dolore e nel piacere con la vittoria o la sconfitta, che illumina nella gloria e fa cadere nell'oblio, che non finisce di stupire. Allora come ora. Perché a distanza di oltre duemila anni, lo sport, come fenomeno universale che accomuna popoli e culture, che si radica fortemente nell'esistenza di tantissime persone, è capace di raccontare storie uniche, incredibili, ogni volta diverse nel loro fascino. La meraviglia, dunque, a unire Sport e Filosofia, ma forse, e soprattutto la Meraviglia del Corpo...perché a dispetto della storia millenaria trascorsa, è il Corpo ciò che può paradossalmente ancora meravigliare, la filosofia e lo sport, unendoli in una nuova sfida, come un impensato ancora da pensare, ciò che può ancora stupire, qualcosa ancora da raccontare. Una sfida per la Filosofia, innanzitutto, se è vero che per lei "il corpo è la cosa più difficile" come sosteneva Heidegger, se è vero che essa è cresciuta da sempre in un fraintendimento del corpo, come sosteneva Nietzsche: la sfida è allora andare oltre questo fraintendimento, che considera il corpo come "tomba dell'anima", fin da Platone, che lo mortifica ai dettami dello spirito con la cultura cristiana, che lo lascia all'ombra del pensiero, della res cogitans cartesiana, che lo scruta con l'occhio di ingrandimento anatomico delle scienze, sempre come fosse una mera cosa, un oggetto. Il corpo è molto di più, è l'apertura originaria della nostra esistenza al mondo, è la circolazione e lo scambio di senso con esso, è vita vivente in azione, la nostra stessa esistenza...è tutto questo, e molto altro, nulla di definitivo, perché non si può rinchiudere sotto la pretesa oggettiva di una definizione, è ovunque e in nessun luogo, sempre altrove, altrove nel mondo, sulla punta del bastone cui mi appoggio, come diceva Sartre, o là fin dove indico, punto zero del mondo rispetto a cui le cose si dispongono, a cui si dà un sopra un sotto, un avanti un dietro, un vicino e un lontano, punto di incrocio di percorsi e spazi della nostra esistenza, come diceva Merleau Ponty; questa sfida che attende dalla Filosofia un nuovo senso del corpo, può traslare come un dono inavvertito, ma fecondo, anche al mondo dello Sport; perché anch'esso, forse, e forse in modo colpevolmente inconsapevole, condivide (paradossalmente, perché lo sport sembrerebbe a prima vista un'esaltazione della corporeità) quel fraintendimento che fa del corpo sportivo un corpo macchina, macchina da prestazione, agglomerato di organi, funzioni o sistemi da perfezionare in un incremento indefinito della sua capacità prestazionale: in questo scenario di fondo si muovono forse tematiche quali il doping, quali una competizione sfrenata portata all'estremo, dove sembra si sia giunti a un estremizzazione del gesto sportivo, alla sua eccessiva distanza dalla portata della gente comune, con conseguente perdita di interesse, quali malattie e infortuni in costante crescita ecc. Ma sulla scia di una riflessione più approfondita di un nuovo senso del corpo andrebbero lette anche nuove tendenze che richiamano a uno sport non più prestazionale, ma alla portata di tutti, uno sport del benessere, del piacere e della forma fisica, di categorie sociali verso cui prima c'era una barriera, del contatto con la natura e l'avventura, della salute, delle sensazioni del corpo vissuto, quasi che il corpo diventasse in tutto questo il luogo della ricerca di senso di identità postmoderne che sembrano disperdersi d'altro canto ovunque, in miti tribali, in mondi virtuali, in incroci e mescolanze ecc...quasi che in questo mondo caotico, dove sembra emergere in modo sempre più profondo una carenza di senso, si avesse il sentore che un nuovo senso passi per la riscoperta del corpo, attraverso il veicolo dello sport. E forse, in maniera più sottile, anche attraverso la riscoperta della filosofia. Lo sport è la filosofia dunque, nella meraviglia del corpo...e una Filosofia dello Sport, come una sola grande passione! 
                                                                                                                       Tommy

venerdì 27 aprile 2012

JOHAN CRUYFF. The football Prophet

Non penso che arriverà il giorno in cui, quando si parla di Cruyff, la gente non saprà di cosa si stia parlando.
Johan Cruyff

Il Profeta coglie segni divini per dire qualcosa anzi tempo, annunciando ciò che ha ancora av-venire. Ma ci sono anche profeti più silenziosi, la cui poesia non abita solo nelle parole, ma anche nei pensieri, nei gesti, nei loro movimenti...Johan Cruyff è uno di questi, è il Profeta del Football, la poesia del calcio. Perché non ci sarà tempo in cui parlando di Cruyff non si saprà di cosa si stia parlando, e tempo in cui il suo nome non verrà ricordato tra i miti divini dell'Olimpo del pallone, come il profeta dell'annuncio del Calcio Totale, il maestro della sua rivoluzione, una filosofia che suscita ancora meraviglia, fascino, avvenire! Un profeta lo si riconosce, quasi da un'aria principesca, di forza, saggezza e autenticità, che lo circonda e marchia sulla pelle un Simbolo, come un numero sulla maglia, 14, originale, unico, di-verso. 14, come l'età del primo campionato vinto con l'Ajax, speciale deroga della federazione olandese al regolamento, una maglia mancante in spogliatoio e la cessione del proprio numero 9. Il 9 ritrovato a Barcellona, è tradizionalista la federazione spagnola e non concede deroghe, ma il 14 rimane sotto l'altra maglietta, come un simbolo, come gli anni che passano prima che il Barca torni a vincere il campionato. E anche quando ormai la maglia vien depositata nella leggenda, quando si ricomincia da casa, dalla panchina, il 14 scandisce i tempi di ogni nuova avventura, come gli anni prima che l'Ajax ritrovi un trofeo internazionale. Vittorie, originalità, classe...da giocatore e da allenatore...un simbolo, un numero, oltre il tempo, nel mito. Il 14 è la Poesia del calcio, la poesia di un corpo in movimento...e ogni poesia lascia solchi indelebili nella memoria, tracce di bellezza e armonia, segni distintivi che non si possono dimenticare. Un profeta intrattiene un legame intimo con la poesia, perché entrambi, in poche parole, gesti, movimenti, dischiudono una Visione del mondo, sono un esercizio della visione. La visione di Johan Cruyff è la via del goal, è il Profeta del Goal come dice un film di Sandro Ciotti: donde veniamo e dove andiamo, così uno sguardo profetico, panoramico, testa alta e occhi dietro la testa, una visione totale del campo, sa leggere il gioco, il fluire dell'azione, e incrinarla verso il suo obiettivo più naturale, la porta avversaria...predire il goal, prima che accada: ovunque, in ogni situazione o  posizione del campo, da attaccante a inizio carriera, nel cuore del gioco, negli anni d'oro, da libero, le ultime stagioni; l'incarnazione perfetta di una Filosofia che non ha ruoli predefiniti, regole rigide, schemi tradizionali, ma è scambio, innovazione, imprevedibilità...come ruotasse tutto attorno alla magia creatrice della sfera, il divertimento e l'abilità del tocco di palla, la creatività ("ciò che conviene insegnare ai ragazzi è il divertimento, il tocco di palla, la creatività, l'invenzione") perché "senza possesso palla non si vince" e perché una volta persa "la pressione si deve esercitare sul pallone, non sul giocatore"...è nella semplicità della palla la rivoluzione del calcio totale; una filosofia compiuta da giocatore, dell'Ajax, del Barcellona, dell'Arancia Meccanica, sotto la saggia guida di Rinus Michels, realizzata da manager, con le vittorie da allenatore, con i progetti della Scuola dell'Ajax o della Cantera del Barca, perché, si sa, un profeta getta le basi del futuro, e la sua visione è uno sguardo concreto e ancora av-venire, una filosofia compiuta e ancora da compiere; una filosofia dove il bel gioco si lega al valore aggiunto del campione, perché "la creatività non fa a pugni con la disciplina", perché ogni tattica o strategia ha bisogno del suo magico interprete, si chiami Cruyff, Van Basten o Messi, perché fondamentalmente ogni filosofia nasce dalla poesia. Ed è Poesia quella del profeta del Football, di Johan Cruyff, una poesia del Corpo in movimento; fatta di Velocità, non solo un'abilità fisica ("la velocità è spesso confusa con l'intuito. Quando parti prima degli altri, sembri più veloce!"), perché la velocità è una visione del pensiero, leggere in anticipo ciò che accade o può accadere, e partire prima; partire spesso lontano, distante dalla porta e tagliare in due la difesa avversaria, come prendersi un rigore al primo minuto di una finale mondiale, senza che gli avversari tocchino palla; fatta di Tecnica delicata, un tocco di palla sublime, che abbinato alla velocità diventa un dribbling imprendibile, di  colpi speciali, marchi di fabbrica che rimangono unici e indelebili, come la Cruyff-turn che lascia sul posto l'avversario, il passaggio col tacco, il cross d'esterno; di Coordinazione eccezionale, l'equilibrio di un dribbling, un controllo volante a seguire, l'elevazione di un colpo di testa o di uno stop, come uno dei più bei goal della storia del calcio, un volo in acrobazia ad altezza vertiginosa, in spaccata col piede dove altri non arrivano di testa; di Genialità, assist e passaggi unici, tocchi sotto e pallonetti, giocate inaspettate, come un rigore battuto con tocco al compagno! Poesia di un corpo,  cenni divini di un Profeta del pallone, di un calcio che fu, e rimane ancora, nella memoria, di un calcio che è stato e non è ancora, che dispiega un mondo come una filosofia futura: perché nessuno sarà mai ciò che è stato Johan Cruyff, ma Johan Cruyff è anche una visione profetica, di ciò che deve ancora essere...
       Tommy

lunedì 23 aprile 2012

PHILOSOPHY OF RUNNING. La Musica del Respiro

Io sento la terra ed il vento e gli alberi. Io sento il loro spirito. Io sento il ritmo della corsa. È come musica.
Gabriel Harmony Jennings

"Da quando ho imparato a camminare, mi piace correre" diceva Nietzsche...come un bambino, che imparati i primi passi, li affretta subito nello slancio della corsa, nella più assoluta e sorridente libertà...perché essa, la corsa, è il gesto più naturale, più ingenuo, più spontaneo che ci sia! Non come il camminare, appreso, guidato dalla mano esterna, controllato sicuro e misurato, nei primi passi di corsa si è nell'aperto che non ha bordo, dove si mette in gioco il proprio equilibrio, si cade e si impara a cadere, si impara da sé a trovare quel punto di equilibrio instabile, che è poi la vita, a tenere il ritmo dei propri passi, la propria misura...un gioco che sporge dai bordi per trovarli, che danza sul crinale per equilibrarsi, che affanna il respiro per respirare a pieni polmoni l'esistenza! Nella corsa si mettono in gioco i propri passi e il proprio respiro, fuori dalle trame ordinarie, per comporre in libertà la propria musica, come una sinfonia personale, una propria composizione...Musica del Respiro! Perché il respiro non è un solo un processo fisiologico, ma più fondamentalmente quello scambio di corpo e mondo che compone l'esistenza: rispondersi e corrispondersi di corpo e mondo, dove il corpo si apre al mondo, lo accoglie e vi ritorna, in quello scambio tra interno ed esterno dove essi si accordano, spirito e materia: il respiro è la continuità del corpo col mondo, espressa dai suoi stati e dalle sue modificazioni: la calma, l'ansia, la precipitazione, l'eccitazione, la concentrazione...si esprimono nel diverso ritmo del respiro, nel quale si incarna dunque un senso del mondo, del nostro rapporto col mondo, come un'esteriorizzazione che ne esprime un senso. Così, come la musica esprime un senso, la corsa come musica del respiro è il tentativo di dar luogo e di esprimere, magari inavvertitamente, un proprio senso, forse di reperirlo, mettendo in gioco il rapporto del proprio corpo al mondo, nel respiro affannoso della fatica, quando il mondo oppone al corpo la sua resistenza che la corsa cerca di vincere, negli ampi respiri a pieni polmoni quando corpo e mondo cercano di ritrovare la loro armonia. Un senso che una musica compone anzitutto nel Ritmo; il ritmo del respiro, della corsa, è anzitutto quello del cuore e del piede, veri musichieri del ritmo. Sentire il proprio battito cardiaco sotto s-forzo, quando forza cioè il normale fluire, nella diversa andatura, perché come ci sono cuori avventurieri o misurati, impavidi o controllati, così ci sono andature spinte e altre di rilassamento, sopra soglia o sotto soglia, di sforzo e di recupero; sentire il ritmo della corsa come rimbalzo del piede sul terreno, come contatto con la terra, e la fatica che essa richiede, come ciò che conduce lungo le proprie strade, perché come ci sono diversi percorsi e sentieri, così ci sono corse pesanti e corse leggere, passi corti e passi lunghi, passi andanti e passi spinta; è il nostro modo di andare per il mondo, perché in questa diversità, dal ritmo del piede e del cuore, un senso parte dalla terra e attraverso interamente il nostro corpo, pervadendo la nostra postura: testa alta e sguardo fisso in avanti, incontro al mondo e contro il mondo, occhi chiusi, testa bassa a controllare i propri passi e il sentiero appena avanti, sguardo preso dal paesaggio attorno, busto eretto o piegato, spalle aperte o ricurve, gomiti larghi o adiacenti al busto...ogni corpo il suo stile, ognuno la sua corsa, ogni corsa un mondo! Perché dal ritmo si dispiega dolcemente un Armonia, nello scambio del respiro tra il corpo e il mondo, a esprimere quel rapporto, come un accordo: così ci sono corse dove quell'armonia è la curva altimetrica della prestazione da ricercare e controllare, altre dove importante è trovare la propria armonia interiore, la forma del proprio corpo, il benessere del proprio io, corse insomma dove psichico e fisico, mente e movimento giocano la loro distanza o si incontrano nelle loro declinazioni, o nella loro comunione reciproca; ci sono corse poi dove l'armonia è invece l'unione mistica col mondo, dove si esce dal proprio io per incontrare la natura nella sua presunta e incontaminata purezza, o la città nei suoi aspetti più urban, magari tra i margini del degrado, o per re-incontrare il proprio corpo nelle sensazioni attraverso il giorno o la notte, il caldo e il freddo, il sole e la pioggia, la pianura o la salita; ci sono corse che si staccano dalla riflessione, dove la testa si svuota dei pensieri e delle ansie quotidiane, altre come momenti di freschezza del pensiero che matura nuove idee, altre ancora dove non conta pensare o non pensare, ma correre per correre, semplicemente; ci sono corse che si staccano dagli altri, dove la musica è quella degli auricolari nelle orecchie, o dell'ascolto di sé, corse solitarie, altre corse come momento di apertura agli altri, condivisione, corse di gruppo, occasioni di incontro sociale.
Ogni musica ricerca la sua delicata armonia, un delicato accordo verticale del respiro, tra corpo e mondo. Ogni musica diventa una sequenza unica di note, una Melodia, un percorso orizzontale dove ogni corsa, diventa ogni volta un tema unico; un suono diverso del respiro, una musica diversa, una personale composizione...una diversa interpretazione del proprio essere: per misurarsi e migliorarsi, per stare in forma o dimagrire, per passare tempo all'aria aperta con gli altri, per ritrovare se stessi, per niente che non sia il puro amore di un gesto libero...e chissà quante altre cose, e chissà in che diversa configurazione...sempre l'espressione di un senso diverso. Nel respiro della corsa, nel ritmo del cuore e del piede, nell'armonia di corpo e mondo, nella melodia personale, si esprime la libertà di un senso, un senso della propria esistenza, un senso del mondo! Ma come ogni musica ha bisogno del Silenzio da cui inizia un movimento, dove nel respiro cresce quel modo di esprimersi, così ogni corsa, ogni musica del respiro, ha bisogno del suo riposo, dove quel senso matura; quel senso, come una filosofia del running, una filosofia della propria corsa che abita nei propri respiri. Comprendere quel senso misterioso è affascinante, affascinante quanto correre, quanto un silenzio.
Tommy

giovedì 19 aprile 2012

SPORT, THE WAY OF LIFE. A lap with Ayrton Senna

I continuously go further and further, learning about my own limitations, my body limitations, psychological limitations. It's a way of life for me. 
Ayton Senna

A volte semplicemente non si può raccontare l'Amore per lo Sport. Accade nel silenzio che non si distingue. Come un Fuoco che brucia l'anima dentro, nel profondo, una passione nascosta. O una preghiera modesta, una meditazione silenziosa. Accade semplicemente nella vita, senza un perché, come un modo di esistere, che raccontare è difficile. Come una metafora della vita, che una metafora può dire.
Forse nasce tutto con un giorno di pioggia, come questo. Quando improvvisamente scopri che sul terreno bagnato le tue capacità sembrano scivolare via, insieme agli altri che ti superano, che vanno più forte, quando le gocce sul tuo viso si confondono alle tue lacrime. Quando nello squarcio di sole che s'apre dopo la tempesta, e riflette sull'acqua mentre con la testa bassa torni a casa, una voce ti sembra sussurrare che devi insistere, continuare. E allora sei ancora lì, a provare e riprovare, quando altri stanno chiusi in casa...quando ancora cade la pioggia. Lo sforzo, la fatica, il sacrificio. Impari a conoscere il tuo Limite, ad affrontarlo. Mettendo in gioco tutto te stesso, le tue forze, qualsiasi cosa tu abbia...finché riesci a sfiorarlo, a toccarlo quel limite. E allora, all'improvviso, qualcosa succede...più ti avvicini a quel limite, più cresce il tuo polso, più arde quel fuoco, più ti scalda la tua passione...e il tuo cuore va più veloce, il respiro si fa profondo, le mente è una col corpo, tutt'uno col mondo che ti corre dietro, e attorno. E tu guardi avanti, perché ora lo puoi guidare, quel mondo. Ci impari a danzare, nella pioggia. Come un mago del bagnato. E scopri che nessuno è perfetto, ma con umiltà si può ricercare la perfezione continuamente, rimanendo se stessi, coi propri limiti, imparando da se stessi, dai propri errori, dalle decisioni sbagliate, dai fallimenti che inevitabilmente accadono, per far si che non accadano ancora. Scopri che vai sempre più forte, imparando dai tuoi limiti, i tuoi, del tuo corpo, dell'anima, scopri che imparare a danzare nella pioggia delle difficoltà, è un modo di vita. Che lo sport è la tua vita. Una metafora della vita. Perché quando la pioggia termina, puoi affrontare ogni cosa. C'è scritto nel tuo sangue che ora puoi competere, che devi competere, che non puoi farne a meno...con te stesso, con gli avversari, con il tempo...perché tutto accade nel tempo, ha bisogno di tempo, è una sfida al tempo...è semplicemente il tempo della tua vita. E ha bisogno di forza, dedizione, passione...con intensità profonda, e amore mistico, con il corpo e la mente, l'istinto, l'esperienza...puoi volare molto alto. Perché ancora una voce sconosciuta reclama il diritto di vincere, quando i tuoi occhi riflettono la luce di un vecchio giorno di pioggia. E continuare a vincere, e nutrirti della vittoria, per sempre. O tutto finire improvvisamente. Che importa, alla fine non c'è una fine...rimane solo l'Amore...

         
Tommy

mercoledì 18 aprile 2012

SPORT PSYCHOLOGY. The mystic Fire

Il mio corpo è più nella mia anima di quanto la mia anima sia nel mio corpo. Il mio corpo e la mia anima sono più in Dio di quanto siano in loro stessi.
Meister Eckhart

Platone diceva che la Filosofia non è un sapere che si possa insegnare, come succede invece con le altre scienze, ma si genera all'improvviso nell'anima, accade come un dono inaspettato della divina follia, dopo una lunga frequentazione, un lungo allenamento, "come la scintilla che scaturisce dal fuoco e poi si nutre di se stessa". L'amore per la filosofia è come una scintilla da cui nasce quel fuoco in grado di illuminare in maniera profonda l'esistenza trasformandola costantemente in luce e fiamma, e per quanto possa venire insegnato, semplicemente accade. Credo che la stessa cosa si possa affermare per lo Sport, a proposito di quella passione che, quando nasce, si incarna nell'esistenza dello sportivo e vi rimane per sempre. Lo Sport non si insegna, perché per quanto lo si possa insegnare, lo si deve prima di tutto amare, e tale amore è una fiamma che arde dentro e non ci si spiega il perché, come un dono della divina follia. Ma nello Sport può accadere anche un'altra cosa, ancor più bella della passione, simile al fuoco della Filosofia: per quanto ci si possa allenare, e tuttavia solo dopo un lungo, costante e faticoso allenamento, accade all'improvviso sono alcune volte, solo ad alcuni, quasi fossero eletti, di avvertire una strana sensazione, una scintilla che nasce dentro, un Fuoco che arde tutto il corpo, una fiamma che poi si nutre di se stessa e che trasforma il proprio essere: tutto il vissuto si trasforma e sensazioni nuove, mai provate, penetrano il respiro, come essere in una bolla d'aria, un mondo fuori del mondo: allora ci si sente come invincibili, scompare la fatica, si diventa tutt'uno col proprio gesto e ciò che lo circonda. Come giungere ad una soglia misteriosa superata la quale si apre un nuovo paesaggio, come uno scarto che accade di lampo e cambia tutto, come un volo improvviso dopo una faticosa salita. Allora il corridore non sente più l'affannarsi del respiro, né la fatica sulle gambe, semplicemente va, diventa tutt'uno con la sua corsa, è parte di ciò che lo circonda e con esso fluisce...come Abebe Bikila alle Olimpiadi di Roma, quasi che i suoi piedi scalzi diventassero il terreno sotto di lui, una cosa sola con la strada che scorreva; e come lui tanti altri corridori e atleti che, pur senza raggiungere quei traguardi, varcano quella soglia e raggiungono quella sensazione unica, diventare la corsa stessa, o lo stesso gesto atletico; o sentire la simbiosi col proprio mezzo, come un pilota, con la macchina, il sedile, le ruote, il volante, quando si abbassa la visiera e si accende il motore tutto risponde alla sua guida come fosse un corpo solo: "pensi di avere un limite. Così provi a toccare questo limite. Accade qualcosa. E immediatamente riesci a correre un po' più forte, grazie al potere della tua mente, alla tua determinazione e al tuo istinto, e grazie all'esperienza...puoi volare molto in alto!" diceva Ayrton Senna; o padroneggiare un pallone in maniera magica, o il proprio attrezzo di gara, sentire che con quello puoi fare quello che vuoi; o sentire che la pista, il campo di gara, lo stadio diventa la tua forza, l'energia che ti carica come un combustibile che alimenta quel fuoco: "quando mi affaccio al cancelletto di gara, stringo le manopole dei bastoncini ed è il segnale di attivazione...da quel momento in poi entro in trance agonistica. La mente si sgombra di tutto, seguo il mio filo d'Arianna" diceva Giorgio Rocca delle sue gare, un filo che si snoda attraverso le porte, gli ostacoli del percorso, e porta dopo porta diventa più scorrevole e meno intricato, col crescere dell'entusiasmo del pubblico, fino all'arrivo. Ma ci sono esempi di ogni sport, di tantissimi atleti, che avvertono questo Fuoco, in declinazioni diverse, con sfumature diverse; esso può essere descritto in molti modi, è difficile raccontare una sensazione per cui non si ha parole; e può essere chiamato in molti modi da chi lo studia: in Psicologia dello Sport, ad esempio, si parla di "entrare nel flusso", "essere nella sfera", "entrare in trance agonistica", "raggiungere il punto di massima prestazione" e via dicendo...ciò che è comune a tutte le riflessioni è il fatto che è come se nel momento in cui si accende quella scintilla nel corpo dell'atleta la coscienza si annullasse o meglio, raggiungesse uno stato più elevato, non più intenzionalità verso un mondo, ma mondo (spirito assoluto direbbe forse filosoficamente Hegel?): come se il movimento non avesse più un carattere mentale, una mente che lo valuta, lo controlla, lo dirige, ma entrambi, mente e movimento, raggiungessero uno stato di perfetta unione e armonia, una cosa sola, uno stato che unendoli li trascende entrambi: allora è la Grazia, come eccellenza e bellezza del gesto sportivo, come gloria di chi lo compie, e memoria in chi lo ammira! Ciò di cui parla la psicologia va al di là della psicologia, sconfina oltre, perché ogni descrizione è riduttiva, può spiegare, ma non comprendere. Lo potrebbe raccontare forse la filosofia, nella sua umiltà e povertà di sapere, semplice amore-per-il-sapere, una Filosofia dello Sport che possa forse iniziare dalle parole di Platone, o dal Fuoco cosmico di Eraclito - quel fuoco "sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura", un fuoco che accesosi nell'uomo lo rende frammento dell'ordine universale, partecipe per un attimo del mondo divino. Ma più di tutte, forse, quel fuoco divino che si accende sul petto dell'atleta, è un'esperienza Mistica, nel senso proprio del termine: dal greco mistikòs, misterioso, e prima ancora myein, chiudere, tacere...perché di quell'esperienza misteriosa, forse, più che parlare, si deve tacere e ammirare, contemplare la dimensione del sacro che ad alcuni semplicemente accade, come un'esperienza diretta, difficilmente comunicabile. Allora l'estasi mistica che accade, quella scintilla divina che si accende, potrebbe essere letteralmente un e-stasi, un uscita dalla stasi attraverso il suo contrario, il movimento, dove le trame abituali a oggetti, cose o persone, persino verso se stessi, le relazioni statiche, si sfaldano improvvisamente verso quella realtà e-statica, divina, da cui si è in grado di illuminare l'e-sistenza, di vedere la sua realtà ultima, come la Grazia, un fuoco divampato dentro che resta e lascia il segno; un'esperienza che segna appunto, ed appaga, perché chi dedica l'intera vita allo sport, è come in questo stato avesse la sua divina ricompensa, e non chiede altro per 'intero corso della vita, anche se non dovesse ottenere mai una medaglia olimpica, o non vincere mai un campionato del mondo. Essere uno col proprio corpo, uno col tutto, nella Grazia del movimento, dove la fatica è ripagata e si è il mondo in cui si corre, dove niente può fermare. Perché lo Sport, in fondo, è una meditazione silenziosa, una preghiera umile del proprio essere, che attraverso l'allenamento e il duro sacrificio, cerca quella illuminazione; quel Fuoco mistico, quella luce divina: "Il mio corpo è più nella mia anima di quanto la mia anima sia nel mio corpo. Il mio corpo e la mia anima sono più in Dio di quanto siano in loro stessi" (Meister Eckhart).
                                                                                                                                   Tommy



 

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