Platone diceva che la
Filosofia non è un sapere che si possa insegnare, come succede invece con le altre scienze, ma si genera all'improvviso nell'anima, accade come un dono inaspettato della divina follia, dopo una lunga frequentazione, un lungo allenamento, "come la scintilla che scaturisce dal fuoco e poi si nutre di se stessa". L'amore per la filosofia è come una scintilla da cui nasce quel fuoco in grado di illuminare in maniera profonda l'esistenza trasformandola costantemente in luce e fiamma, e per quanto possa venire insegnato, semplicemente accade. Credo che la stessa cosa si possa affermare per lo
Sport, a proposito di quella passione che, quando nasce, si incarna nell'esistenza dello sportivo e vi rimane per sempre. Lo Sport non si insegna, perché per quanto lo si possa insegnare, lo si deve prima di tutto amare, e tale amore è una fiamma che arde dentro e non ci si spiega il perché, come un dono della divina follia. Ma nello Sport può accadere anche un'altra cosa, ancor più bella della passione, simile al fuoco della Filosofia: per quanto ci si possa allenare, e tuttavia solo dopo un lungo, costante e faticoso allenamento, accade all'improvviso sono alcune volte, solo ad alcuni, quasi fossero eletti, di avvertire una strana sensazione, una scintilla che nasce dentro, un
Fuoco che arde tutto il corpo, una fiamma che poi si nutre di se stessa e che trasforma il proprio essere: tutto il vissuto si trasforma e sensazioni nuove, mai provate, penetrano il respiro, come essere in una bolla d'aria, un mondo fuori del mondo: allora ci si sente come invincibili, scompare la fatica, si diventa tutt'uno col proprio gesto e ciò che lo circonda. Come giungere ad una soglia misteriosa superata la quale si apre un nuovo paesaggio, come uno scarto che accade di lampo e cambia tutto, come un volo improvviso dopo una faticosa salita. Allora il corridore non sente più l'affannarsi del respiro, né la fatica sulle gambe, semplicemente va, diventa tutt'uno con la sua corsa, è parte di ciò che lo circonda e con esso fluisce...come
Abebe Bikila alle Olimpiadi di Roma, quasi che i suoi piedi scalzi diventassero il terreno sotto di lui, una cosa sola con la strada che scorreva; e come lui tanti altri corridori e atleti che, pur senza raggiungere quei traguardi, varcano quella soglia e raggiungono quella sensazione unica, diventare la corsa stessa, o lo stesso gesto atletico; o sentire la simbiosi col proprio mezzo, come un pilota, con la macchina, il sedile, le ruote, il volante, quando si abbassa la visiera e si accende il motore tutto risponde alla sua guida come fosse un corpo solo: "pensi di avere un limite. Così provi a toccare questo limite. Accade qualcosa. E immediatamente riesci a correre un po' più forte, grazie al potere della tua mente, alla tua determinazione e al tuo istinto, e grazie all'esperienza...puoi volare molto in alto!" diceva
Ayrton Senna; o padroneggiare un pallone in maniera magica, o il proprio attrezzo di gara, sentire che con quello puoi fare quello che vuoi; o sentire che la pista, il campo di gara, lo stadio diventa la tua forza, l'energia che ti carica come un combustibile che alimenta quel fuoco: "quando mi affaccio al cancelletto di gara, stringo le manopole dei bastoncini ed è il segnale di attivazione...da quel momento in poi entro in trance agonistica. La mente si sgombra di tutto, seguo il mio filo d'Arianna" diceva
Giorgio Rocca delle sue gare, un filo che si snoda attraverso le porte, gli ostacoli del percorso, e porta dopo porta diventa più scorrevole e meno intricato, col crescere dell'entusiasmo del pubblico, fino all'arrivo. Ma ci sono esempi di ogni sport, di tantissimi atleti, che avvertono questo Fuoco, in declinazioni diverse, con sfumature diverse; esso può essere descritto in molti modi, è difficile raccontare una sensazione per cui non si ha parole; e può essere chiamato in molti modi da chi lo studia: in
Psicologia dello Sport, ad esempio, si parla di "entrare nel flusso", "essere nella sfera", "entrare in
trance agonistica", "raggiungere il punto di massima prestazione" e via dicendo...ciò che è comune a tutte le riflessioni è il fatto che è come se nel momento in cui si accende quella scintilla nel corpo dell'atleta la coscienza si annullasse o meglio, raggiungesse uno stato più elevato, non più intenzionalità verso un mondo, ma mondo (
spirito assoluto direbbe forse filosoficamente Hegel?): come se il movimento non avesse più un carattere mentale, una mente che lo valuta, lo controlla, lo dirige, ma entrambi,
mente e movimento, raggiungessero uno stato di perfetta unione e armonia, una cosa sola, uno stato che unendoli li trascende entrambi: allora è la
Grazia, come eccellenza e bellezza del gesto sportivo, come gloria di chi lo compie, e memoria in chi lo ammira! Ciò di cui parla la psicologia va al di là della psicologia, sconfina oltre, perché ogni descrizione è riduttiva, può spiegare, ma non comprendere. Lo potrebbe raccontare forse la filosofia, nella sua umiltà e povertà di sapere, semplice
amore-per-il-sapere, una
Filosofia dello Sport che possa forse iniziare dalle parole di Platone, o dal Fuoco cosmico di Eraclito - quel fuoco "sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura", un fuoco che accesosi nell'uomo lo rende frammento dell'ordine universale, partecipe per un attimo del mondo divino. Ma più di tutte, forse, quel fuoco divino che si accende sul petto dell'atleta, è un'esperienza
Mistica, nel senso proprio del termine: dal greco
mistikòs, misterioso, e prima ancora
myein, chiudere, tacere...perché di quell'esperienza misteriosa, forse, più che parlare, si deve tacere e ammirare, contemplare la dimensione del sacro che ad alcuni semplicemente accade, come un'esperienza diretta, difficilmente comunicabile. Allora l'estasi mistica che accade, quella scintilla divina che si accende, potrebbe essere letteralmente un
e-stasi, un uscita dalla stasi attraverso il suo contrario, il movimento, dove le trame abituali a oggetti, cose o persone, persino verso se stessi, le relazioni statiche, si sfaldano improvvisamente verso quella realtà
e-statica, divina,
da cui si è in grado di illuminare l'
e-sistenza, di vedere la sua realtà ultima, come la Grazia, un fuoco divampato dentro che resta e lascia il segno; un'esperienza che segna appunto, ed appaga, perché chi dedica l'intera vita allo sport, è come in questo stato avesse la sua divina ricompensa, e non chiede altro per 'intero corso della vita, anche se non dovesse ottenere mai una medaglia olimpica, o non vincere mai un campionato del mondo. Essere uno col proprio corpo, uno col tutto, nella Grazia del movimento, dove la fatica è ripagata e si è il mondo in cui si corre, dove niente può fermare. Perché lo Sport, in fondo, è una meditazione silenziosa, una preghiera umile del proprio essere, che attraverso l'allenamento e il duro sacrificio, cerca quella illuminazione; quel
Fuoco mistico, quella luce divina: "
Il mio corpo è più nella mia anima di quanto la mia anima sia nel mio corpo. Il mio corpo e la mia anima sono più in Dio di quanto siano in loro stessi" (Meister Eckhart).
Tommy